Ci troviamo ormai alla settima puntata della storia di Radio Nuova Trieste e, devo dire che, proprio negli anni ’90, si è definito il volto, il genere radiofonico e la linea editoriale di Radio Nuova Trieste. Non più una radio prettamente musicale, o meglio, con qualche breve intermezzo parlato in un “mare” di tanta musica leggera, magari un breve notiziario all’ora, e battutine più o meno azzeccate di un conduttore, un programma del tutto rispettabile, si intende, che magari ci accompagna nei supermercati, nello stile ben remunerato delle principali imprese radiofoniche che affollano lo spazio della modulazione di frequenza, ma neanche una radio “di flusso” che suddivide i 60 minuti di ogni ora in precise sezioni con programmi prevalentemente parlati, che si stabilizzano nel corso della giornata. Di certo, non una radio devozionale, con ripetute recite del S. Rosario e/o celebrazioni religiose con meditazioni. Una radio impostata in termini di “rubriche”, parlate o musicali, corredate da una sigla iniziale e finale, condotte da singoli redattori, preferibilmente concittadini, competenti in qualche materia, e in possesso di due qualità essenziali: una “simpatia”, per così dire, verso il mezzo radiofonico e un desiderio di perseverare nel tempo il proprio impegno, e quindi nella collaborazione. Nel corso dei primi anni si erano avvicendati decine di collaboratori, come li ho già elencati nelle puntate precedenti che, successivamente, non si sono ripresentati per i più svariati motivi, mentre i più fedeli, quelli che ancora adesso conducono la loro rubrica settimanale, provengono dal nucleo iniziale, i cosiddetti “padri fondatori”, che hanno sempre dimostrato una certa fiducia nella validità del rapporto con i radioascoltatori. Importante comunque rimane l’impegno di trovarne ancora altri, in modo da rendere sempre più vari e interessanti i programmi nelle 24 ore di trasmissione. Si correva però il rischio di non essere ascoltati dai giovani, soprattutto da quelli che tengono accesa la radio, a casa o in macchina, solo come “erogatore elettronico”, per così dire, di “ritmo”.

La ricerca di sempre nuovi collaboratori era facilitata però dall’atmosfera riscontrata nello studio radiofonico, che era sempre amichevole e sorridente e, a questo proposito, sono state sempre molto importanti l’accoglienza e la cortesia dei due tecnici impegnati nella registrazione e nel montaggio (tecnicamente denominato “editing”) dei programmi, anche se l’accesso alla prima sede di via Vasari, con i tre piani di scale e, la non disponibilità di posteggi, non agevolava spesso questo tipo di compito. (continua)